OK boomer. L’espressione ormai diventata protagonista assoluta di moltissimi contenuti e meme dell’ultimo anno. Da dove nasce, cosa significa e come ha fatto a diventare il simbolo di una guerra generazionale?
È questo il tema della nuova puntata di Quasidì che, come sempre, trovate ovunque. Sotto trovate trascrizione e fonti.
Ascolta “#23 – OK boomer” su Spreaker.
Trascrizione della puntata
VALE
Ok boomer. Sì, stiamo parlando proprio di te. L’espressione ormai diventata protagonista assoluta di moltissimi contenuti virali dell’ultimo anno. Da dove nasce, cosa significa e come ha fatto a diventare il simbolo di una guerra generazionale? Ne parliamo nella puntata di oggi.
*SIGLA*
ILE
Facciamo parte della generazione dei Millennial e questo oramai lo abbiamo ribadito praticamente in ogni puntata, ma abbiamo anche avuto modo di parlare di situazioni e di aspetti sì legati alla nostra generazione, ma che spesso vengono giudicate e criticate da chi Millennial non lo è per niente.
Che lo scontro generazionale esista dall’alba dei tempi non è una novità, ma lo scollamento tra la generazione dei Baby Boomer e quella dei Millennial (per non parlare della Generazione Z) è particolarmente evidente per tutta una serie di motivi che cercheremo di affrontare (in parte) in questa puntata.
“Ok, boomer” – mi raccomando, pronunciato con questo tono sbeffeggiante – è un meme che nasce come una presa in giro nei confronti dei Baby Boomers (nati tra gli anni 40 e 60). Esprime la frustrazione nei confronti di una generazione che probabilmente non ha agito al meglio in vista del futuro e che dice: “Sì, ho capito cosa vuoi dirmi, smettiamola con questa lezioncina e magari inizia tu, boomer, ad ascoltare me”. Un modo, anche un po’ antipatico, per cercare di zittire qualcuno che si pone in maniera supponente cercando di offrire soluzioni spicce a problemi che la sua stessa generazione potrebbe aver creato.
Spesso infatti il meme salta fuori in discussioni legate all’emergenza climatica e alla mancanza di potere economico dei millenial (disoccupazione giovanile, lavoro part-time ecc…).
Come si legge sul Post: ““Ok, boomer” è in pratica un’espressione usata da adolescenti e giovani per zittire o prendere in giro cose percepite come lamentele paternalistiche della generazione dei cinquanta-sessanta, e ritenuta – con una generalizzazione spesso criticata – responsabile dei principali disastri contemporanei, dalla crisi finanziaria a quella climatica”.
VALE
Ma com’è nato? Facciamo un passo indietro.
Il meme è nato su TikTok e Twitter in maniera spontanea – come accade normalmente – tra gli utenti della generazione Z ovvero i giovani sotto i 25. L’episodio che più di altri ha contribuito a sdoganarlo però riguarda la politica. La parlamentare Chlöe Swabrick, 25enne neozelandese appartenente al Green Party (il partito dei Verdi), durante un discorso in Parlamento ha velocemente zittito un altro parlamentare che la stava interrompendo con la frase “ok boomer” per proseguire poi con noncuranza il suo discorso. Quest’azione ha reso il meme ancora più noto, anche se già il NYT se n’era interessato, vi lasciamo il link all’articolo sul sito. Non staremo qui a parlare dei meccanismi di replicazione dei meme, per quello potete leggere la tesi della triennale di Valentina, ma possiamo citare l’Atlantic che riassume a dovere la questione: “L’ultimo respiro di un meme è esalato quando un valido organo di stampa gli dà attenzione e individua nel meme un significante culturale, forse anche una metafora più grande”.
Ed è così che siamo arrivati all’epitome: OK BOOMER. Ormai non più soltanto un meme ma un tormentone, un principio, una “metafora più grande”, per l’appunto.
La critica ai boomer è quella di non aver non aver saputo gestire la società e la natura, lasciandoci in una situazione economica e ambientale già in crisi. Accusare i boomer è la risposta risentita di un gruppo di persone che individua in loro gli autori dei maggiori problemi che siamo costretti ad affrontare, accusandoli peraltro di aver agito senza alcuna lungimiranza ma soltanto guardando al profitto. Il che è comprensibile essendo nati in un’epoca storica dove il mito della crescita perpetua e della bontà del mercato libero cullavano molti individui nell’illusione di una prosperità economica perpetua. Il punto è che quella mentalità e quel modello economico non funzionano più quindi forse serve un cambio di prospettiva. In questo senso, le alternative scarseggiano (non abbiamo ancora capito se ci sarà mai un post-capitalismo) e mentre la casa brucia invece di spegnere l’incendio si pensa a salvare le poche cose rimaste e scappare. Tradotto: invece di pensare a modelli alternativi di sviluppo, si pensa – forse anche un po’ per disperazione – a cercare di tenersi stretti i propri privilegi e quale modo migliore se non sminuendo i valori di quelli che domandano un cambiamento radicale? Non è un caso che siano proprio i boomer i primi detrattori di tutti quei temi sociali tanto cari ai millenial: dal dibattito sulle identità (principalmente di genere, etniche o legate all’orientamento sessuale) a quello, per esempio, seguito al movimento #MeToo. Tematiche spesso criticate o snobbate dalle generazioni precedenti che evidentemente non ne capiscono la rilevanza.
ILE
Lo scontro generazionale, più o meno aspro, è sempre avvenuto nel corso della storia, il distacco che sembra separare i Millennial e le successive generazioni però sembra più grande. Ok boomer è un modo per dire “ok, perché parli visto che sapevi tutto e non hai fatto niente?”. Chi usa questo meme lo fa dunque con intento ironico ma un senso prettamente politico, mettendo in stato di accusa chi non ha fatto abbastanza e ora invece di dare una mano, pensa solo a criticare e a mettere i bastoni tra le ruote.
Quando utilizzare “Ok, boomer”?
Quando vi trovate di fronte a negazionisti del cambiamento climatico, potete rispondere con “ok, boomer”.
Antifemministi che pensano che il pay gap non esiste? Potete rispondere con “ok, boomer”.
Indignati dell’ultima ora per il riconoscimento dei matrimoni gay, al grido di “ci sono cose più importanti”? Ok, boomer.
Non mancano però le critiche a questo modo di affrontare questa frattura generazionale. Qualcuno infatti ha parlato di “razzismo anagrafico”. Il meme si rivolge a un intero gruppo di persone e cosa succede quando facciamo di tutta l’erba un fascio e ce la prendiamo indiscriminatamente con un’intera categoria? Che rischiamo di buttare nel calderone anche chi non c’entra nulla. Pur trattandosi di una critica nei confronti di persone cresciuti in contesti privilegiati e spesso al potere (incredibile come queste due cose vadano spesso di pari passo eh?), non si può dimenticare che esistono boomer che non fanno parte di questa categoria. The Submarine considera il meme ageist, termine che indica la discriminazione basandosi sull’età (un comune problema legato all’ageism è non assumere persone oltre una certa età) e suggerisce “taci, vecchio” come possibile trasposizione in italiano aggiungendo che “andrebbe evitato da parte di chiunque a maggior ragione da parte di un esponente politico di un partito a carattere progressista.”
Secondo l’articolo si sottolinea anche la pericolosità di generalizzare, come abbiamo detto, su un gruppo di persone perché rischia di essere un approccio che ha portato a scelte storiche ben poco condivisibili (si pensi al razzismo, anche se lungi da noi paragonare la gravità dei due fenomeni, la similitudine è volutamente estrema per sottolineare a dove si possa arrivare – anche se alcuni boomer non si sono fatti tutti i nostri problemi a paragonare il meme alla N word e no, cari boomer, direi proprio che non è la stessa cosa). La contrapposizione per generazione rischia di diventare uno scontro tra gruppi che in realtà potrebbero appartenere alla stessa classe sociale. L’unica grossa divisione – quella che fa davvero la differenza – è quella, secondo TheSub, “tracciata dall’economia in chi può permettersi di non lavorare per vivere e chi invece non può farlo — tra chi ha i beni, i capitali, e chi invece dipende da un salario”.
VALE
Scavando più a fondo quindi l’utilizzo di “Ok boomer” sembra più evidenziare uno scontro di classe, oltre che uno generazionale. Una frattura tra le persone che hanno visto realizzate in gran parte le loro aspettative e che dalle loro realtà hanno creato delle narrazioni, narrazioni che ci portiamo dietro ancora oggi come la narrazione di una società meritocratica che si sviluppa in un mercato libero, come la narrazione della globalizzazione, realizzata grazie all’esportazione della democrazia e della pace. Quindi da un lato queste persone. Dall’altro chi invece è nato in un tempo in cui tutte queste narrazioni si sono mostrate fasulle.
E qui è il caso di introdurre il concetto di Meritocrazia sulla quale si è basata l’intera società della performance e che possiamo considerare uno dei capisaldi della filosofia boomer. Riprendiamo la definizione di Treccani: meritocrazìa – Concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e spec. le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggior misura intelligenza e capacità naturali, oltreché di impegnarsi nello studio e nel lavoro; il termine, coniato negli Stati Uniti, è stato introdotto in Italia negli anni Settanta.
Il termine è un neologismo coniato dal sociologo britannico Michael Young nel libro L’avvento della meritocrazia del 1958. In origine è nato – e qui sta il paradosso – per indicare una forma di governo distopica di estrema disuguaglianza economica e sociale nella quale la posizione sociale di un individuo viene determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla sua attitudine al lavoro.
Per decenni, la meritocrazia è stata sulla bocca di tutti. La meritocrazia piace a destra e a sinistra. Da Di Maio a Renzi, da Salvini alla Merkel fino a Trump, è un concetto in voga tanto ad Harvard quanto Buckingham Palace. In America la meritocrazia è una condizione ereditata dall’etica calvinista mentre in Italia – il paese delle clientele, delle raccomandazioni – si è espanso a macchia d’olio. Non fatichiamo a capirne i motivi.
ILE
A questo uso iniziale negativo del termine si è affiancata col passare del tempo un’accezione positiva, che conosciamo ancora oggi, tesa a indicare una forma di governo dove le cariche pubbliche, amministrative, e qualsiasi ruolo o professione che richieda responsabilità nei confronti di altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza a lobby, o altri tipi di conoscenze familiari (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia).
Questo perché il concetto di meritocrazia è legato inestricabilmente al concetto di competenza. Più competenze hai oppure più ricercata e preziosa sarà la tua competenza più otterrai meriti. Tutto giusto fino a qui ed è anche il mantra che ha spinto tutte le generazioni precedenti alla nostra: più ti impegni più otterrai quello che la società ti ha promesso. Eppure c’è un problema. Perché il sistema in cui si costruiscono le competenze non è sempre trasparente ed equo. Non basta impegnarsi. Non è vero che basta provarci. Perché per molte categorie il gioco è truccato. La verità è che la meritocrazia non funziona più e quando ha funzionato, ha funzionato solo per alcuni, non per tutti. Perché la meritocrazia ha un alto grado di arbitrarietà. Spieghiamoci meglio.
VALE
“La meritocrazia è un campo di competizione al quale tutti possono virtualmente accedere, soltanto che i poveri combattono a mani nude e i ricchi con mitragliatori e giubbotti antiproiettile forniti dall’ambiente in cui sono cresciuti”.
È facile ravvisare il problema se pensiamo al sistema dei college americani dell’Ivy League in cui l’istruzione si paga cara e non tutti – persino i più meritevoli – possono avere accesso. Voi direte: ci sono le borse di studio ma i posti sono limitati. Un giovane talentuoso che non può permettersi il collage dovrà lavorare il doppio, non soltanto per accaparrarsi un posto al college ma per un posto al collage con borsa di studio. In altre parole, si può parlare di merito quando in una gara dei 100 mt ci sono persone che sono costrette a partire con dieci secondi di ritardo? È il famoso double standard: se sei povero, se sei nero, se sei una donna devi faticare di più per dimostrare il tuo valore. Ne parla anche Caroline Criado Perez nel suo libro “Invisibili” che si occupa tra le altre cose di gender pay gap e di accesso al mondo del lavoro per le donne, in particolare nell’area STEM. Pag. 136.
Il rischio è che sistemi fatti per promuovere la mobilità sociale – come i collage – non fanno altro che ricreare quel sistema classista che in teoria avrebbero dovuto scardinare. Articolo del New Yorker dal titolo abbastanza esplicativo: “Is Meritocracy Making Everyone Miserable?” cita questi dati: i figli delle famiglie che appartengono all’1% della popolazione più ricca hanno 77% di probabilità in più di entrare in un college dell’Ivy League rispetto a quelli che vengono dalle fasce più basse di reddito. Caso clamoroso è quello di Princeton in cui il 72% degli studenti proviene dalle fasce più alte, mentre solo il 2% dalle più basse.
ILE
Anche qui ritorna la domanda: se partissimo tutti dallo stesso punto, il volto della nostra società cambierebbe o ci sarebbero sempre le stesse facce? Per lo più bianche?
Per i boomer è difficile rinnegare tutti i valori che oggi noi mettiamo in discussione perché per loro sono veri. Il loro sogno si è avverato: hanno lavorato sodo e la società ha mantenuto la promessa. Almeno, per una parte di loro. Non possono credere che la loro intera visione del mondo sia falsa. Eppure le regole del gioco sono diverse per noi. Oggi non basta impegnarsi, la società ipercompetitiva e meritocratica non sembra ripagare più. Siamo istruiti ma senza lavoro. Siamo iperaccessoriati con la migliore tecnologia ma senza casa. Viviamo vite più lunghe ma molti di noi si sentono senza futuro.
È ora forse di pensare a un modello di società diverso.
Un utile spunto è forse smetterla di valutare i sistemi educativi sulla base della performance e della produttività. È chiaro che l’educazione ha un valore economico, la formazione degli individui è vitale per il mondo del lavoro. Tuttavia questa ossessione per i punteggi, i SAT, i test, rischiano di appiattire la crescita personale di un individuo sui valori d’impresa, del successo a tutti i costi, escludendo altre sfere. Questo chiaramente porta all’ansia e al senso di colpa derivati dall’insuccesso, anche se questo non dipende mai solo da noi ma dalle condizioni materiali in cui siamo immersi. La teoria della meritocrazia scarica sul singolo individuo la responsabilità delle fragilità di un sistema arbitrario, basato sulla presunzione che il mercato sia sempre razionale e “oggettivo” quindi se fallisci è perché non te lo sei meritato abbastanza quando abbiamo visto come il merito è una categoria discutibile. Senza contare che c’è una concezione del progresso sociale univoca ovvero come somma di successi personali. Non c’è una dimensione collettiva sufficientemente sviluppata, questo scollamento dalle comunità e dall’azione comune porta a sperimentare una sorta di non appartenenza di cui abbiamo spesso parlato su Quasidì.
È possibile andare oltre la meritocrazia? Ne parliamo nelle prossime puntate.
FONTI:
0:46″OK, boomer”: 25-year-old lawmaker shuts down heckler …
“‘OK boomer’: 25-year-old New Zealand MP uses viral term in parliament”
https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/nov/06/ok-boomer-meme-older-generations
https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/30/is-meritocracy-making-everyone-miserable
https://www.esquire.com/it/news/attualita/a29730136/ok-boomer-cosa-vuol-dire/
https://www.ft.com/content/52d858a0-06da-11ea-9afa-d9e2401fa7ca
https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/30/is-meritocracy-making-everyone-miserable
https://www.esquire.com/it/news/attualita/a29730136/ok-boomer-cosa-vuol-dire/
https://towardsdatascience.com/ok-boomer-escalated-quickly-a-reddit-bigquery-report-34133b286d77
https://www.vox.com/2019/11/19/20963757/what-is-ok-boomer-meme-about-meaning-gen-z-millennials
https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2019/11/obituary-ok-boomer/602656/
https://thesubmarine.it/2019/11/07/ok-boomer-giorgia-meme-tossici/
https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/nov/06/ok-boomer-meme-older-generations