Di recente mi è capitato di incorrere in un video sponsorizzato su Instagram. Sembrava un documentario in cui si intervistava una donna americana che ha abbracciato la filosofia zero waste. Quello che mi ha colpito, come credo chiunque abbia visto quei pochi secondi di filmato, è stato che la protagonista mostrasse un barattolo abbastanza grosso pieno di rifiuti. La giornalista le ha chiesto in quanto tempo avesse accumulato quella spazzatura, quattro anni è stata la risposta.
Sono stata in un supermercato in cui c’è un piccolo spazio frigo in cui vengono messi tutti i prodotti prossimi alla scadenza e deprezzati del 50%. Non vado spesso in questo negozio, ma quando torno a trovare i miei, capita di farci un salto e ci fermiamo sempre a spulciare per vedere se qualcosa possa piacerci. Ne sono uscita con dello yogurt, uno spezzatino di seitan (tanto dai, me lo sarei mangiato solo io, siamo oggettivi), della pasta ripiena alla zucca e un pacco di pane a fette.
Ero, e sono, contenta della mia spesa perché comprare qualcosa che rischiava di essere gettato via mi ha fatto sentire bene perché non ho permesso che una parte di quel cibo venisse sprecato insieme a tutte le risorse utilizzate per produrre quei prodotti, trasportarli e così via.
Tutto quello che ho comprato conteneva plastica. Tutto quanto.
Quasidì ci aiuta a capire come affrontare il mondo, un tema alla volta. Tra questi c’è l’ambiente, un discorso che ci sta a cuore e a cui dedichiamo molta attenzione.
È un argomento a cui tengo personalmente, a prescindere dal podcast, sto cercando di impegnarmi attivamente da qualche tempo con risultati più o meno buoni, errori e decisioni affrettate.
Cosa c’entra dunque la ragazza che citavo all’inizio? Chi è? Cosa ha a che fare con me una persona che vive a Brooklyn e che ha fatto della cura ambientale la propria missione di vita?
Si chiama Stevie Van Horn, ho cercato il video e l’ho ritrovato, l’ho guardato tutto perché prima di scrivere questo post ho voluto confermare le idee che mi sono fatta dai pochi secondi che ho casualmente visto su Instagram. Nel video, che potete trovare qui, ci spiega perché abbia deciso di condurre un certo stile di vita e quali sono stati i passi che lei ha compiuto per arrivare a produrre così poca spazzatura non riciclabile, indifferenziata insomma.
Nel breve video parla di come sia affrontare una giornata, quali sono alcuni degli accorgimenti che ha adottato sin dall’inizio per questa svolta eco-friendly e quali fossero i consigli che poteva dare agli altri. Stevie ha un blog in cui spiega i motivi per cui evitare la plastica monouso, perché rinunciare alle confezioni e capire come sostituirle con prodotti e aziende più attente all’ambiente, perché rinunciare all’olio di palma e istruzioni su come attuare un cambiamento nella propria vita con una vera e propria pagina in cui spiega come e da dove iniziare. Documentarsi sulle proprie abitudini, oltre che sui danni al pianeta, è fondamentale, ma non solo in termini di sostituzioni che si possono fare, ma anche con un approccio più minimalista alle cose. Nel blog infatti racconta come molti prodotti per la cura personale fossero assolutamente inutili o inutilizzati da molto tempo. Ha stilato una lista degli oggetti che maggiormente venivano buttati per poi sostituire tutto, o quasi, con alternative a ridotto impatto ambientale. Quello che si evince da questa sezione è che Stevie ha deciso che nella sua vita c’erano troppi oggetti, troppe cose che non utilizzava e che facevano solo massa, volume. Insomma, casino.
Quante volte ci è capitato di vedere online case, stanze, armadi o pensili della cucina con pochissimi oggetti, tutti allineati perfettamente o con pochissimo disordine? Quante volte l’immaginario collettivo di minimalismo, zero waste, ambientalismo, ecosostenibilità riporta alla mente immagini di perfezionismo, ordine, instagrammabilità?
Ecco. Diciamo che ci siamo stancati. Perché c’è sempre un condizionamento estetico in tutto quello che una persona fa?
Porsi come obiettivo quello di produrre spazzatura che riesca a stare in un solo contenitore non è realistico. I barattoli di vetro con la spazzatura non riciclabile sono l’equivalente delle modelle di Victoria Secret per i corpi femminili in intimo. Alcuni ci riescono, altri arrancano paragonandosi, inconsciamente o non, a standard che sembrano accettati da tutti e quindi perché noi non dovremmo adeguarci? Non stiamo parlando di quante porzioni di frutta e verdura bisogna mangiare al giorno né di quanta attività fisica giornaliera debba essere fatta per rimanere persone sane e in forma, valori che vengono forniti scientificamente da persone che non distribuiscono linee guida estraendole bendati da un cesto.
Stevie, che sta attenta a non sprecare manco il lime che le viene dato assieme a un cocktail mentre è fuori (lo porta a casa per metterlo assieme agli altri rifiuti che sta compostando nel suo appartamento), dice di aver prodotto in quattro anni rifiuti non riciclabili che riescono a stare in un vaso di vetro. Il video è molto breve e poco approfondito, non ho letto tutto il suo blog perché avevo la necessità di buttare fuori queste parole. Ho guardato anche il suo canale Instagram ed è tutto molto carino, ordinato e pulito. La foto di un angolo della sua cucina è di quelle da far impazzire chiunque:
Quello che però mi chiedo è se una persona si renda conto di non avere in pugno tutta la situazione. Stevie dice di non comprare nemmeno delle barrette di cioccolata (di cui sembra golosissima) quando le capita di essere in aeroporto e avere una certa fame perché: “(…) non ne vale la pena di avere un futuro di merda solo per uno snack”. Ma siamo davvero sicuri che andare a prendere un caffè con gli amici (come si vede nella parte finale del video) non produca dei rifiuti o della plastica?
La convinzione, però, di non aver prodotto alcun tipo di rifiuto mi sembra un pochino ipocrita e quasi ingenua. Il caffè che ha bevuto com’era confezionato? Come è arrivato al negozio? Gli involucri del caffè sono stati smaltiti correttamente? Le scatole e le buste sono di materiale riciclabile o prodotti con da fonti riciclabili? Il caffè non cresce a Brooklyn, quindi durante il viaggio siamo proprio sicuri che i pallet con le enormi quantità di materiale non abbiano visto mai, manco per sbaglio, un involucro di plastica? Che protegga la merce o che banalmente serva per identificare quanti lotti ci siano in un’unità. Mi sembra molto difficile crederlo e questo non per cercare di annoverare teorie complottistiche sulla GDO, ma perché è un po’ come quando ci mettiamo a pensare alla Terra, poi al Sole, al Sistema Solare, alla nostra Galassia, poi a quelle più vicine, poi a quelle più lontane e oh mio Dio l’Universo si espande quindi oltre quei confini chissà cosa c’è.
Esatto. Panico. Un vortice da cui non si esce più, una matrioska che si apre all’infinito al cui interno ci sono una serie infinita di bamboline che sembra non finire mai.
Sono un paio di giorni che scrollo su Pinterest in cerca di idee su come fare determinate sostituzioni, suggerimenti per iniziare, quali siano gli errori più comuni e cosa evitare di comprare o buttare perché la soluzione potremmo già averla. Vorrei fare un po’ di ordine e fare quindi una di quelle belle liste che aiutano a colpo d’occhio a capire come vorrei affrontare il problema della transizione e della costante necessità di confrontarmi con degli standard irreali.
Non assumetevi la responsabilità di tutta la spazzatura del mondo
Inquiniamo. Tutti.
In un modo o nell’altro è impossibile pensare di non produrre qualcosa, un rifiuto non riciclabile, della plastica. Stevie è riuscita a riempire solo un barattolo in quattro anni e dice di aver smesso di evitare alcuni posti. Ma evita qualsiasi posto? Su ogni locale si è informata su come i prodotti vengano trasportati, prodotti e confezionati? Com’è possibile credere che tutta la filiera possa essere controllata? Magari è così. Magari ha distrutto l’anima a suon di domande a chiunque per cercare di capire come le cose vengano confezionate e trasportate, ma si può fare un ragionamento simile in un paesino italiano sperduto arroccato su una collina, difficile sondare i tantissimi locali presenti a Brooklyn, per non parlare di New York nel suo intero.
Inevitabilmente creeremo spazzatura, ma con questo non voglio dire quindi di comprare prodotti avvolti da plastica, bottigliette e non fare la differenziata. No. Voglio solo che ci si metta l’anima in pace, che si accetti che non possiamo controllare al 100% tutto quanto e che è giusto fare del nostro meglio fino a confini che si riescono a raggiungere. Certo, la plastica usata per avvolgere i pallet con gli scatoloni non è per singola persona, va suddivisa tra tutti quelli che consumeranno quel determinato prodotto e che quindi si appropria di un pezzetto microscopico di plastica. Ma c’è. Facciamocene una ragione. Il discorso è un po’ come quello dei mezzi pubblici, i bus non è che non inquinino perché funzionino ad aria, ma perché le emissioni di quel viaggio diviso per le persone in grado di spostare sono sicuramente minori rispetto allo stesso numero di individui su una macchina o un motorino.
Non smettiamo di uscire con le persone e non pensiamo di spostarci solo ed esclusivamente con il monopattino. Accettiamo che in un modo o nell’altro lasceremo una traccia delle nostre azioni, scontata e che c’è per praticamente chiunque, sta a noi quindi capire se e quanto aggiungere al proprio mucchietto di spazzatura.
Informatevi su cosa consumate di più
Fate una cernita di cosa avete in bagno, cucina, frigo, freezer e cercate di capire quanta sia la plastica che avete e dove sia. Analizzate anche cosa buttate via più frequentemente, quali siano gli oggetti più comuni e se ci siano delle alternative più sostenibili. Un esempio banale per me era lo yogurt, ne consumavo solo in vasetti di plastica. Ho trovato dei supermercati che vendano yogurt in vetro, sia piccolini, sia in barattoli da mezzo chilo così da avere più prodotto a un prezzo più contenuto (ricordatevi che le confezioni piccole costano di più proprio perché produrle costa di più) e anche un contenitore per la seconda fase che affronterò, ovvero acquistare sfuso. Così facendo sto passando in rassegna i diversi aspetti della giornata con i relativi cambiamenti.
Uno alla volta.
Non sprecate
Una volta che si decide di intraprendere questa strada è normale sentire l’esigenza di buttare via tutto quanto. Spazzolini, bottiglie, borracce, contenitori, dischetti di cotone e chissà che altro.
Non fatelo. Non buttate soldi, risorse e prodotti via perché avvolti nella plastica, perché realizzati in materiale non riciclabile, perché non rappresentano al momento il cambiamento che volete portare in atto.
La sensazione di volersene liberare è più che comprensibile, ma cercate di trattenervi dal buttare via cose che funzionano, che siano ancora utilizzabili o che possano essere sfruttate ancora. Finiranno comunque in discarica, sia che le usiate per bene e fino alla fine o che decidiate di sprecarle solo per appagare una sensazione di urgenza.
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Non comprate oggetti che avete già
Come dicevo prima, Stevie ha una bellissima cucina organizzata con barattoli e barattolini tutti perfettamente allineati e stupendi. Nel video dice anche di aver fatto, come primo passo, quello di comprare tutto quello che le potesse servire per iniziare al meglio senza errori.
Prima di buttarvi in un negozio e dilapidare tutti i risparmi, fate mente locale di cosa avete già e di quali contenitori potreste involontariamente disporre semplicemente facendo la spesa.
Tutti hanno delle borse di tela, tutti quanti, non ci credo che non ve ne siate ritrovati almeno UNA SOLA in casa negli scorsi anni. Impossibile. Usate quelle per fare la spesa, portate quelle al mercato e, se proprio non le avete, compratele capienti o sfruttate le borse riutilizzabili e rigide dei vari supermercati che sono spesso molto capienti e comode da lavare che sì, magari sono in plastica, ma perché lasciarle inutilizzate.
Consumo burro d’arachidi in quantità quasi imbarazzanti, ma mi piace anche la marmellata e i pomodorini secchi sott’olio. Tutti i barattoli che ho accumulato da quando vivo da sola sono contenitori di vetro di cui ho mangiato il contenuto e che ho conservato per gli usi più disparati, come porta candele, come vaso o per i thè sfusi che riescono così a occupare anche meno spazio. Ho comprato sì un paio di barattoli grandi con i ganci per chiudere ermeticamente, ma non ho cercato di avere tutti i contenitori in coordinato comprandoli in negozio e buttando oggetti che comunque avevo già in casa.
La plastica è brutta sì, ma se avete dei contenitori per alimenti (quelli che usate per la schiscetta, insomma) non buttateli e continuate a usarli perché spesso possono essere messi in microonde e risparmiarvi una pentola in più (meno pentole, meno lavaggi, meno acqua, meno detersivo, meno spreco – è tutta una questione di allenamento che porta a considerare l’immagine generale, ma senza impazzirci, penserei più alle conseguenze pratiche come cheppalle lavare i piatti).
Se avete già una borraccia, non compratene altre. Usate quella che avete già, andrà benissimo quella. Sostituitela se si rompe o se perde acqua, ma evitate di accantonare qualcosa solo perché non bellissimo, dev’essere funzionale prima di tutto.
Le stoviglie in bambù sono bellissime e siamo tutti d’accordo, sostituzione saggia per i locali e le feste, ma le posate in acciaio ci fanno così schifo? Utilissime e riutilizzabili come sempre.
Sui fazzoletti di stoffa manco mi esprimo, chiedete a mamme, zie e nonne di darvi qualcuno dei loro. Io da piccola li rubavo a papà (che li usa da sempre).
Una stanza alla volta
È impensabile pensare di attuare una svolta zero-waste in tutti gli aspetti della quotidianità ed è forse questo l’aspetto che atterrisce maggiormente all’inizio.
Un esempio può essere la cucina, capire cos’abbiamo in dispensa, usarlo e consumarlo correttamente, sfruttare il freezer per evitare degli sprechi, cucinare cosa sta per andare a male e conservarlo in frigo o avere la schiscetta e intanto informarsi su delle banali sostituzioni che possono essere messe in atto.
Qualche giorno fa volevo comprare l’aceto per pulire in combinazione con il bicarbonato, mi sembrava ci fossero solo bottiglie di plastica, ma poi ne ho trovata anche un paio in vetro.
Finita la pasta? Magari optare per una marca con la confezione in cartone. Yogurt o succo di frutta si possono acquistare in vetro e prima di comprare dei biscotti controllare che magari la confezione vada nella carta (a me piace provare vari biscotti quindi alternare non mi cambia molto, ma capisco che magari non tutti vogliano rinunciare a qualcosa che piace molto – si tratta pur sempre di preferenze alimentari, non si possono stravolgere in continuo).
In bagno vale lo stesso discorso, finiamo shampoo, balsamo, detergenti e i vari detersivi prima di passare a soluzioni che non abbiano confezioni in plastica o che rispettino l’ambiente. Il mio balsamo è in una bottiglia di plastica, ne ho uno solido, ma devo prima finire quello che ho già. Finirò prima quelli liquidi, non mi corre dietro nessuno.
Il discorso sul fast-fashion è infinito e ne abbiamo già parlato nella seconda puntata di Quasidì, ma di base sarebbe bene – quando e se possibile – di evitare questo tipo di aziende (tra le più note Zara, H&M, & Other Stories, Bershka, Pull&Bear, Mango e non solo), comprare abiti vintage e di seconda mano (tranquilli che li potete sempre lavare prima di indossarli), optare per aziende etiche, riparate gli abiti rotti e non buttarli via subito, donare cosa non si usa più, smaltire correttamente quello che non è più utilizzabile, vendere o donare cosa non si vuole più ed evitare (anche qui, se possibile) abiti sintetici sia per la traspirazione della pelle sia per il rilascio di microplastiche nel mare.
Certo. Tantissime informazioni. Però prendetele una alla volta e applicatele con l’ordine che vi fa stare meglio.
Cernita di tutto ciò che avete.
Sacco di vestiti da regalare. Sacco di vestiti da vendere. Sacco di vestiti da riciclare (spesso nei negozi li accettano e li smaltiscono loro correttamente).
Pila dei vestiti da riparare, cucire, modificare, aggiustare.
Pila dei vestiti che usate. Sta al singolo capire quali siano i capi necessari e quali superflui, non possiamo tutti vivere con tre magliette e due jeans. Imporci limiti potrebbe solo far accrescere la frustrazione invece che una sensazione di sollievo. Comprare meno e meglio, ma sempre considerando le proprie necessità.
Un passo alla volta
Tantissime informazioni ovunque, sì. Suggerimenti in ogni forma, angolo e aspetto che nemmeno avevamo considerato.
La cosa importante è prendere coscienza del proprio impatto ambientale e capire come effettuare dei cambiamenti senza impazzire. Fatevi una lista, segnatevi tutto, scrivetevi le cose e informatevi su cosa sia possibile fare.
Non è possibile far sparire la plastica con uno schiocco di dita, consumate quello che avete già. Poi passate a prodotti con confezioni riciclate. Poi, se ve la sentite, provate a produrre voi qualcosa e concedetevi di sperimentare e fallire. Io vorrei provare a farmi del dentifricio, ma non prima di aver finito quello nel tubetto. Farà schifo? Mi verrà bene? Funzionerà? Non lo so. Proverò e mal che vada finisco anche quello e poi mi adopero per comprarlo da qualcuno che è in grado di farlo.
Frutta e verdura imballati nella plastica non li considero più, guardo solo alla frutta sfusa e vorrei comprare quella biologica, ma nel mio supermercato è confezionata quindi devo scegliere quale guerra portare avanti, se prodotti bio in plastica o alimenti normali in sacchetti biodegradabili. Il passaggio dopo è il mercato, ora con il bel tempo ancora più piacevole da affrontare e ci vado con le borse di stoffa e portandomi anche i sacchetti di carta delle settimane prima.
E così via.
Non possiamo limitarci a sperare di azzeccare tutto al primo colpo. Non possiamo pensare di avere bottiglie, tubetti, confezioni e involucri di plastica in ogni angolo un giorno e quello dopo no. Non è fattibile, non è realizzabile e sicuramente non è né furbo né in linea con un pensiero che alla base ha la convinzione di non dover sprecare nulla.
Come ho detto prima l’estetica delle cose ha rovinato e avuto un impatto anche su come buttiamo e creiamo rifiuti. Siamo riusciti a far sembrare bello ed esteticamente appagante la raccolta differenziata. Sono felicissima se ne parli, sono entusiasta di vedere che ci sono persone che si impegnano anima e corpo in questa battaglia, ma smettiamola per favore di farlo solo per avere qualcosa di bello da fotografare o per sopperire a un senso di inferiorità che non è sano e che non può essere il leitmotiv di una scelta così importante e personale.
– Valentina