Oggi Quasidì tocca un tema delicato: il consumo etico.
Come possiamo riconoscere brand buoni da brand cattivi? Perché è così difficile acquistare oggetti che provengono da business puliti, che rispettano i lavoratori e l’ambiente? E soprattutto, siamo sicuri che acquistare consapevolmente, essere dei consumatori attenti serva a qualcosa (e magari anche a qualcuno?). Molti sostengono che non esista un consumo etico nel mercato capitalista. Siamo dunque destinati alla dannazione eterna? Il mercato equo solidale è solo una favoletta per i borghesi bianchi con i sensi di colpa?
Cercheremo di riflettere su questi interrogativi sperando di non cadere né nell’idealismo (ma tu lo sai che se al posto della carta igienica uso le foglie potrei salvare il pianeta?) né nel cinismo più assoluto (ma che me frega a me, tanto tra qualche decennio sono bello che stecchito sotto sette metri de terra a farmi mangiare dai vermi, sempre se non avremmo messo in pericolo d’estinzione pure loro).
Se siete curiosi, trovate qui sotto la nostra chiacchierata. Vi ricordiamo che se volete sostenere il nostro progetto, potete offrirci un simbolico caffè tramite Ko-fi.
Fonti e link utili:
The feminist T-shirt scandal exposes an entire system of exploitation, The Guardian
Tansy Hoskins, The Guardian
Clean Clothes Campaign: False Promises – Migrant Workers in the Global Garment Industry, Discussion Paper, Clean Clothes
Where does “There is no such thing as ethical consumption under capitalism” came from?, Reddit
Documentario The True cost di Andrew Morgan, 2015, Netflix
La morte dei braccianti riguarda tutti noi, Stefano Liberti, Internazionale
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